COMITATO DELL'ASSOCIAZIONE CULTURALE QUINTILIANO APPROVATO IN DATA 20.12.10
Presidente: Dario Coppola


UCCELLACCI E UCCELLINI


Il film “Uccellacci e uccellini” è sostanzialmente una riflessione filosofica sul tragico senso dell’esistenza, sotto forma di una favola.
Vari sono i risvolti formali dell’opera, che si possono notare uniti nel linguaggio filmico del neorealismo di impronta manieristica (si parla di manierismo pasoliniano): ad esempio, gli sguardi estatici dei personaggi, il tema della leggenda che si fonde con la realtà in una sublimazione tuttavia ironica, gli stessi personaggi che interpretano le scene come se entrassero, uscissero o si trasferissero all’interno di quadri o affreschi, i dettagli architettonici, la ricercatezza dei costumi (soprattutto quelli medioevali) e delle inquadrature di paesaggi, le citazioni classiche: letterarie e religiose (Cantico delle creature ed Evangeli), filosofiche (Pascal e il rapporto fede-scienza), pittoriche (Pontormo, Rosso Fiorentino, ma anche Masaccio...), musicali (Mozart).
Sono altrettanto complessi i contenuti del film. Fra i molteplici livelli, il più evidente è quello di una storia comica che collega, in modo solo apparentemente chiaro e semplice, le argomentazioni filosofiche: tre protagonisti (un padre, un figlio, un uccello) camminano e parlano, finché i due uomini mangiano il corvo parlante. Ma, come in ogni favola, oltre la semplicità ingannevole della trama, ecco emergere dall’irrealtà e dagli elementi surreali tutti gli altri significati dell’opera, talora esplicitati proprio dal terzo protagonista, il corvo, il più simbolico, l’alter ego del regista stesso: secondo la sceneggiatura, esso è un intellettuale di sinistra, figlio del “signor Dubbio” (P. Ricoeur collocava, fra i maestri della Scuola del sospetto, e quindi del dubbio, Karl Marx) e della ”signora Coscienza” (la coscienza di cosa? Certamente la coscienza di classe! Il tema della coscienza, dopo Hegel, trova ancor più sviluppo lungo l’Ottocento). A questo punto, ci pare più chiaro il titolo dell’opera: gli uccellacci sono i borghesi e gli uccellini sono i proletari. Fra queste due classi, la cui coscienza genera gli intellettuali (e quindi la nascita del partito comunista e della sua vocazione internazionale) non ci sarà mai pace, anzi non ci sarà mai “Amore”. Ma ci sarà, solo e sempre, una lotta: la lotta di classe. Anche dopo che la cristianità avrà cercato la possibile conversione dei singoli, le due classi non potranno mai comunicare fra loro perché si esprimono con linguaggi antitetici: i falchetti stridono e i passerotti saltellano. Vani sono i tentativi della Chiesa, rappresentata da s. Francesco, alter Christus, di riportare la pace sulla terra in questa lotta continua. Ma l’uccello più emblematico è il corvo-filosofo: egli è vate e il suo dire profetico non è compreso dalla massa ignorante, è disprezzato dalla piccola borghesia che di lui si beffa perché non lo capisce; padre e figlio, Totò e Ninetto, non amano sentir parlare quel profeta di sciagura, la cui origine è l’”ideologia” stessa. Essi sono i figli dell’apparente semplicità, della selvaggia innocenza, della più cinica ignoranza, che li spingerà in una lotta per la sopravvivenza, li collocherà in una catena infinita ove chi è sottomesso tende a sottomettere. I due protagonisti non rispettano i diritti altrui, “criticano” la proprietà privata ma solo per i propri bisogni corporali, tipicamente legati alla loro animalità (homo homini lupus). Ma Totò e Ninetto non comprendono gli insegnamenti del corpo e vengono, a loro volta, oppressi dalla classe dominante, della quale non comprendono usi, costumi, ossia quel linguaggio, dal quale sono solo stupidamente affascinati.
Se ci addentriamo nei meandri degli altri significati dell’opera, troviamo soltanto accennati i temi del controllo delle nascite e della contraccezione (l’antifecondativo...), dell’immigrazione e della sussistenza degli immigrati (la vendita del “callifugo”...), del progresso e della tecnologia (lo sbarco sulla luna...), della crisi della cultura e della letteratura (il congresso dei dentisti-dantisti...), della questione della lingua, alla quale il letterato Pasolini dedica molte opere e dibattiti (uso degli idiomi e dei vari dialetti popolari, contrapposto all’italiano colto), della superstizione (gli ex voto).
Un altro strato di simboli caratterizza il film: il cammino è “eterno”. Il film inizia quando i due protagonisti principali, padre e figlio, già camminano e finisce quando ancora camminano; il viaggio è già finito, perciò lo scopo del cammino, che è l’esistenza, la vita, non trova soddisfazione. Il viaggio è un’alienazione, che permette, ingannando, una fuga perché l’esistenza è talmente tragica da perdere il suo senso. Sulla strada della vita, subito i protagonisti incontrano infatti la morte e fra loro ne parlano senza accettarla. Ma ecco arrivare subito chi può capirla, il corvo, perché, da buon profeta, sa che troverà la morte proprio grazie ai due suoi compagni di viaggio, quel viaggio già finito appena il cammino è iniziato. I vari autobus perduti rappresentano i ritardi, i fallimenti, l’impossibilità di realizzare il viaggio dell’esistenza e quindi di comprenderne il senso. La luna è l’unica speranza, perché lontana e irraggiungibile, anche se in quegli anni la si è raggiunta...: l’uomo si crede di nuovo al centro dell’universo? La luna rappresenta perciò l’alienazione, intesa come fuga dalla realtà, la fuga verso l’assurdo, come già esprimeva un pioniere della storia del cinema qual è G. Méliès (Viaggio sulla luna, 1902) ma ancor prima L. Ariosto (Astolfo sulla luna). Anche la prostituta si chiama Luna: è il rifugio nei piaceri della vita per Totò e Ninetto che, fuggendo la dura realtà, sciupano il danaro sufficiente solo ai propri piccoli piaceri e ai propri piccoli dolori, indebitandosi. Due aeroplani decollano, quando i protagonisti incontrano la luna: simboli fallici, ma anche allegoria di questa fuga facile dal mondo degli oppressi e degli sfruttati. Il cammino ha avuto inizio sull’autostrada in costruzione nella periferia romana... L’invito alla fuga è anche espresso dai surreali cartelli stradali che indicano città simboliche molto distanti... (Istanbul, anzi “Istambul” e Cuba) inoltre i cartelli che indicano le vie del quartiere periferico di Roma ricordano uomini semplici, sconosciuti con nomi simbolici. I guitti interpretano uno spettacolo sull’antica Roma che ha rovinato il mondo.
Troviamo in “Uccellacci e uccellini” diversi omaggi al grande cinema: Totò e Ninetto ricordano nei movimenti e nei dialoghi personaggi chapliniani; si vedono anche elementi felliniani nelle caratteristiche grottesche di alcuni personaggi.
Pasolini ha rivelato espressamente il sottofondo religioso di questo e di altri suoi film con una serie di autocitazioni e rimandi, che si rifanno alle vicende evangeliche. Basti guardare “II Vangelo secondo Matteo” per coglierne alcune: l’angelo Gabriele, nell’Annunciazione, è interpretato in quel film dalla stessa attrice che in “Uccellacci e uccellini” è la ragazza con le ali d’angelo, per la recita religiosa. Inoltre in “Uccellacci e uccellini” troviamo, in filigrana, cenni chiari del percorso evangelico. Il corvo dirà: “Beati voi...” riferendosi ai semplici, riprendendo le Beatitudini (Matteo, 5); la cacciata dei mercanti al tempio è collocata nel film durante la leggenda di s. Francesco, il quale cita “Il Capitale” di Karl Marx: volutamente Pasolini, giocando con i contrasti, accosta i due estremi, come già ha fatto nel film “Il Vangelo secondo Matteo”, ove fa risuonare i canti rivoluzionari russi mentre il Cristo parla alle folle. La gente che è radunata a causa di una morte, in “Uccellacci e uccellini”, dà lo spunto per la riflessione dell’autore sull’esistenza, ma ricorda la folla dei racconti evangelici che chiedeva i miracoli al Cristo che risuscitava i morti. L’incontro con la prostituta è presente anche negli Evangeli, così come l’annuncio profetico della propria morte fatto dal Cristo e dal corvo parlante in “Uccellacci e uccellini”. Se l’ultima cena è anticipazione della Passione e della Morte di Cristo, negli Evangeli, nel film è subita dal corvo che viene mangiato: coincidono con la cena, la passione, la morte in termini religiosi, psicologici e anche antropologici (la ripresa del pasto totemico di S. Freud in “Totem e tabù”...) Anche nei film “Accattone” e “Mamma Roma” troviamo evocato lo stesso percorso evangelico (Angelo - Passione - Ultima cena - Morte). I tre enigmatici protagonisti ricordano le tre persone della Trinità: Padre, Figlio e Spirito santo (quest’ultimo rappresentato da una bianca colomba, normalmente). Ma dopo la morte, secondo l’ateismo marxista è assente la vita e quindi il corvo è, a un tempo, la goffa e tetra immagine dell’angelo decaduto, il cui nero colore è inquietante e contrasta con la sua dolcezza, con la sua fragilità ma soprattutto con la sua arguzia. Il corvo richiama lo scarafaggio di kafkiana memoria; evoca funesti presagi che, dalla sua comparsa, riconducono direttamente il pensiero alla morte: non a caso il corvo si introduce nel discorso quando il padre e il figlio (simbolo della vita che continua nelle generazioni) riflettono sulla morte.
Un’altra serie di riferimenti, sia stilistici sia contenutistici, va ai classici: sicuramente compaiono elementi tipici del teatro dell’assurdo (S. Beckett, “Aspettando Godot”) e anche riferimenti a M. Cervantes (don Chisciotte della Mancia). Ma fondamentale è la ripresa di uno stile caro a Esopo, a Fedro e poi a La Fontaine, che mettevano sulla bocca degli animali, talora proprio a un corvo, le parole suggerite agli uomini dalle menti di questi ultimi, spesso più feroci di quelle degli animali stessi. In questo caso, il corvo è più innocente degli innocenti, anzi è vittima innocente di essi. L’uomo sembra subordinato alla bestia ma, alla fine, solo comportandosi da bestia, domina la bestia; al contrario dell’”uomo umano” incarnato da frate Ciccillo, la cui summa del pensiero è espressa in quel suo idealistico e filantropico “Cantico delle creature”, subito smentito dalla realtà (è Marx che si stacca da Feuerbach). B. Pascal diceva: “l’uomo non è né angelo né bestia; disgrazia vuole che chi vuol fare l’angelo fa la bestia” (Pensieri, 358). Il tema dell’albatro (o del gabbiano), le cui ali troppo grandi imprigionate nella tolda di una nave lo portano alla lenta morte e all’impossibilità di spiccare il volo, è notoriamente attribuito a C. Baudelaire e a S.T. Coleridge: sono riferimenti presenti anche in “Accattone” ma evidentemente sono racchiusi qui nel corvo di “Uccellacci e uccellini”.
Altro livello interpretativo è quello storico-politico: la storia del comunismo russo evocato dai riferimenti, anche musicali, all’Internazionale, a K. Marx, al partito comunista italiano al quale Pasolini aderì, l’omaggio a P. Togliatti, alla Cina di Mao e all’Enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXIII: sono soltanto alcune citazioni e cammei che esprimono, al di là dell’omaggio, l’autocritica pasoliniana, sulla propria figura inadeguata e non compresa di intellettuale di sinistra che si rivolge altrettanto criticamente al suo partito e alla Chiesa.


Dario Coppola

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