COMITATO DELL'ASSOCIAZIONE CULTURALE QUINTILIANO APPROVATO IN DATA 20.12.10
Presidente: Dario Coppola


Segnalazioni del Presidente di Comitato

Inoltriamo due inviti del Centro di Documentazione A. Labriola 

Domenica 23 gennaio 2011 c/o Teatro Colosseo ore 15.10 (via Madama Cristina 71, Torino)

Conferenza cittadina sul 
90° della fondazione PCd’I 


Mercoledì 26 gennaio 2011 c/o Convitto Umberto I (via Bligny 1 bis, Torino) ore 16.30

Convegno su 
Tendenze dell’economia mondiale e dell’economia cinese
nell’occasione sarà ricordata la figura di 
Angus Maddison
studioso di statistica economica per l’OCSE 
e per le edizioni Pantarei 

intervengono 

Vittorio Valli (ordinario di Politica Economica dell'Università degli Studi di Torino), 
Giuseppe Buonfratello (Centro di Documentazione Antonio Labriola)
Carlo Antonio Barberini (Centro Filippo Buonarroti di Milano)

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Proposta del nostro Comitato per il Cineforum

Proposta del Presidente di Comitato

Verrà proposta come grande evento "Q" al Consiglio Direttivo del Quintiliano, dal nostro Comitato, l'inaugurazione della rassegna dedicata all'opera omnia cinematografica di Pasolini da effettuare al Centro Dar al Hikma: il primo film potrebbe essere IL FIORE DELLE MILLE E UNA NOTTE; successivamente si seguirà l'ordine cronologico delle opere del Maestro.

Ninetto Davoli in collegamento col Teatro Baretti sulla Q TV


MNEMOSYNE 24.04.10 PASOLINI secondo NINETTO DAVOLI (2)


I poeti: angeli musicanti caduti sulla terra


Canta Francesco De Gregori:
"Passa l'angelo, passa l'angelo/ E nessuno può vedere/ Passa l'angelo, passa l'angelo/ E fa segno di tacere./ E dice sono venuto a sciogliere/ E non a legare/ Sono venuto a sciogliere/ E non a spezzare/ Passa l'angelo, passa l'angelo/ E ti fa segno di andare/ Passa l'angelo, passa l'angelo/ E ti lascia passare/ Passa l'angelo, passa l'angelo/ E ti offre da bere/ Passa l'angelo, passa l'angelo/ E finisce il bicchiere/ E dice sono venuto a prendere/ E non a rubare [...] E dice non devi piangere/ E non ti devi spaventare/ Passa l'angelo, passa l'angelo/ E nessuno può vedere [...] E fa segno di tacere/ Passa l'angelo, passa l'angelo/ E ti offre da bere[...]"
(da "L'angelo" dall'album "Calypsos").


Chi sono gli angeli? Nei secoli l'angelo è divenuto il guardiano, il custode, il protettore individuale di ognuno. L'angelologia ha elaborato fra gli angeli gerarchie. Anche i filosofi neoplatonici rinascimentali li hanno inseriti nelle gerarchie piramidali che emanano dall'Uno, che è Dio. San Tommaso d'Aquino aveva già scritto: "Seraphim vero denominatur ab ardore caritatis" e "Cherubim denominatur a scientia" (Summa theologiae I, q. LXIII, a. 7), per dire che si chiamano Serafini, tra gli angeli, quelli che ardono per l'amore, e Cherubini quelli che si distinguono per la loro sapienza. Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Virtù, Potestà, Principati, Arcangeli, Angeli (la gerarchia più precisa è quella dello Pseudo-Dionigi, nel libro De Caelesti hyerarchia, IV-V secolo): queste sono, ancor prima, definizioni ricavate dal visionario Libro dell'Apocalisse e dalle lettere di Paolo agli Efesini (Ef 6,12) e ai Colossesi (Col 1,16). Tutto questo immaginario ha derivazioni dall'originaria filosofia neoplatonica, ma soprattutto dalle culture e delle religioni antiche. L'angelo, dal greco aggellos, è colui che dà notizie, è il messaggero divino. Conosciamo anche i nomi degli angeli - anzi degli arcangeli - più famosi, cioè a dire Gabri-El (Potenza di Dio), Mica-El (Chi come Dio?) , Rafa-El (Dio guarisce), e infine l'arcangelo scomparso Uri-El (Luce di Dio): si trattava di divinità antiche, che poi vennero assorbite nei culti giudaico, cristiano e islamico. La desinenza-El designa, infatti, la divinità in ebraico. Recita un salmo: "Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede" (Sal 90,11-12). Gli angeli sono dunque gli eredi delle divinità positive, benevole e favorevoli all'uomo. Quelle negative, invece, sono confluite nel retaggio satanico, tanto caro a chi si preoccupa, in modo a sua volta demonizzante, della musica rock... Tra queste divinità, nella Bibbia ebraica, troviamo citate le antiche divinità malevole e sfavorevoli all'uomo, come Belzebù, Astarte, Belial.


Torniamo ora ai testi poetici di De Gregori:
"Fu la visione di Anna Maria con il rosario tra le dita/ Ad incantare lo stregone e a fargli cambiar vita/ Lasciò la scena in un vestito grigio, lasciò un messaggio con un sorriso/ Diceva: "Parto per Lione, e cerco un angelo del Paradiso/ "Salì sul treno che portava a Bruxelles, ordinò cognac e croissants/ Fece l'elenco dei suoi beni futili nella carrozza restaurant/ Pensò alle ville e alle piscine, ai pezzi rari da collezione/ E fece un voto come San Francesco per il suo angelo di Lione/ E cantò l'Ave Maria, almeno i versi che ricordava/ Mentre guardava dal finestrino l'ombra del treno che lo portava e ad occhi chiusi sognò quei due fiumi, il Rodano e la Saône/ Simbolo eterno delle due anime maschio e femmina di Lyon/ Restò ad aspettare sul vecchio ponte, pensò all'incontro di un anno fa/ Ma i giorni vanno e diventano mesi, quattro stagioni son passate già/ Ora il suo abito è tutto stracciato, somiglia proprio ad un barbone/ Gira le strade e cerca ad ogni passo il suo angelo di Lione/ Stanotte nella cattedrale mille candele stanno bruciando/ Le tiene accese suor Eva Maria a mano a mano che si van consumando/ E dentro ai vicoli come in sogno trascina il passo lo straccione/ Il vecchio scemo fuori di testa per il suo angelo di Lione/ E cantò l'Ave Maria, almeno i versi che ricordava/ Mentre fissava sui vecchi muri la propria ombra che lo seguiva/ E attraversò quei due sacri fiumi, il Rodano e la Saône/ E l'acqua scura come il mistero di quell'angelo di Lyon."
(testo integrale di "L'angelo di Lyon" dall'album "Per brevità chiamato artista").


E' il realismo che domina sull'aspetto visionario delle immagini del cantautore, sia pure un realismo irrigato da una battente pioggia di spiritualità:
"Ogni giorno c’è un pezzo di strada da macinare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E una lacrima che sa di pioggia e che sa di sale /Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ Ti aspetterò così come si dice che si deve fare/ In ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E non sarò mai troppo stanco di stare a aspettare/ Un altro giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E non c’è niente di stabilito tutto può cambiare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E non esiste un cavallo sicuro su cui puntare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ Ogni giorno metto in tavola qualcosa da mangiare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E certe volte non trovo parole per ringraziare/ Per ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E ognuno cerca di fermare il tempo e il tempo non si sa fermare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ Ognuno cerca di passare il tempo e il tempo si vede passare/ In ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ A volte mi sento come un prigioniero da liberare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ Ma non ci sono sbarre e non c’è modo di scappare/ In ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ Ogni giorno c’è un pezzo di strada da ritrovare/ Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra/ E una lacrima da benedire e da conservare/ Per tutti i giorni di pioggia che Dio manda in terra.


(testo integrale di "Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra" da "Per brevità chiamato artista").
Sembra quasi di guardare dipinti come L'Angelus di Millet...

E' un realismo, anzi un neorealismo manieristico, non scevro di citazioni, quasi a evocare così la figura di Pasolini alla quale De Gregori ha dedicato una bellissima canzone:
"Non mi ricordo se c'era luna, e né che occhi aveva il ragazzo,/ ma mi ricordo quel sapore in gola e l'odore del mare come uno schiaffo./ A Pa'. /E c'era Roma così lontana, e c'era Roma così vicina,/ e c'era quella luce che li chiama, come una stella mattutina./ A Pa'. /A Pa'. /Tutto passa, il resto va./ E voglio vivere come i gigli nei campi, come gli uccelli del cielo campare, e voglio vivere come i gigli dei campi, e sopra i gigli dei campi volare."
(testo integrale di "A Pa'").
E' chiara la citazione dell'Evangelo secondo Matteo, al quale Pasolini si era ispirato per realizzare un capolavoro della storia del cinema: "[...] per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete [...] Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?[...] E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro [...] Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta." (Evangelo secondo Matteo, Mt 6, 25-33).
Il Vangelo secondo Matteo... e Pasolini: un suo maestro di vita? un mito? sembra di sì... sicuramente anche un nostro angelo custode. E De Gregori, alla maniera di Pasolini, ama gli ultimi, gli oppressi, gli ultimi, gli affamati e assetati di giustizia, quelli che popolano le nostre strade e fanno la vera storia d'Italia:
"Suona da quindici anni dove lo pagano per suonare/ una vecchia fisarmonica gli puo' bastare/ Ha gli occhi sempre troppo gentili di uno che beve parecchio/ e non si guarda mai alle spalle né o allo specchio/ e vive dentro a un seminterrato con un cane per compagno/ saranno quasi diecimila anni che non fa il bagno/ Non ha diritto a nessuna pensione perché non ha lavorato mai/ ha una faccia da mascalzone ma non vuole guai/ e fischia quando deve chiamare gli amici/ chiede scusa prima di andare via/ scappa sempre quando vede in giro la polizia [...] E i turisti lo chiamano Ulisse/ ma il vero nome chissà qual è/ ma a lui gli va benissimo anche quello e se lo tiene per sé [...] allora suona da quindici anni/ dove lo pagano per suonare/ e una vecchia fisarmonica gli puo' bastare/ la sera quando smette di faticare/ si sente libero come una piuma/ chiude nel fodero la fisarmonica/ e ne accende una e poi pensa/ 'Mannaggia alla musica dopodomani gli dico addio' /ma poi si siede in faccia al golfo di Napoli/ e ringrazia Dio".
(da "Mannaggia alla musica" dall'album "Tra un manifesto e lo specchio").


Dario Coppola

UCCELLACCI E UCCELLINI


Il film “Uccellacci e uccellini” è sostanzialmente una riflessione filosofica sul tragico senso dell’esistenza, sotto forma di una favola.
Vari sono i risvolti formali dell’opera, che si possono notare uniti nel linguaggio filmico del neorealismo di impronta manieristica (si parla di manierismo pasoliniano): ad esempio, gli sguardi estatici dei personaggi, il tema della leggenda che si fonde con la realtà in una sublimazione tuttavia ironica, gli stessi personaggi che interpretano le scene come se entrassero, uscissero o si trasferissero all’interno di quadri o affreschi, i dettagli architettonici, la ricercatezza dei costumi (soprattutto quelli medioevali) e delle inquadrature di paesaggi, le citazioni classiche: letterarie e religiose (Cantico delle creature ed Evangeli), filosofiche (Pascal e il rapporto fede-scienza), pittoriche (Pontormo, Rosso Fiorentino, ma anche Masaccio...), musicali (Mozart).
Sono altrettanto complessi i contenuti del film. Fra i molteplici livelli, il più evidente è quello di una storia comica che collega, in modo solo apparentemente chiaro e semplice, le argomentazioni filosofiche: tre protagonisti (un padre, un figlio, un uccello) camminano e parlano, finché i due uomini mangiano il corvo parlante. Ma, come in ogni favola, oltre la semplicità ingannevole della trama, ecco emergere dall’irrealtà e dagli elementi surreali tutti gli altri significati dell’opera, talora esplicitati proprio dal terzo protagonista, il corvo, il più simbolico, l’alter ego del regista stesso: secondo la sceneggiatura, esso è un intellettuale di sinistra, figlio del “signor Dubbio” (P. Ricoeur collocava, fra i maestri della Scuola del sospetto, e quindi del dubbio, Karl Marx) e della ”signora Coscienza” (la coscienza di cosa? Certamente la coscienza di classe! Il tema della coscienza, dopo Hegel, trova ancor più sviluppo lungo l’Ottocento). A questo punto, ci pare più chiaro il titolo dell’opera: gli uccellacci sono i borghesi e gli uccellini sono i proletari. Fra queste due classi, la cui coscienza genera gli intellettuali (e quindi la nascita del partito comunista e della sua vocazione internazionale) non ci sarà mai pace, anzi non ci sarà mai “Amore”. Ma ci sarà, solo e sempre, una lotta: la lotta di classe. Anche dopo che la cristianità avrà cercato la possibile conversione dei singoli, le due classi non potranno mai comunicare fra loro perché si esprimono con linguaggi antitetici: i falchetti stridono e i passerotti saltellano. Vani sono i tentativi della Chiesa, rappresentata da s. Francesco, alter Christus, di riportare la pace sulla terra in questa lotta continua. Ma l’uccello più emblematico è il corvo-filosofo: egli è vate e il suo dire profetico non è compreso dalla massa ignorante, è disprezzato dalla piccola borghesia che di lui si beffa perché non lo capisce; padre e figlio, Totò e Ninetto, non amano sentir parlare quel profeta di sciagura, la cui origine è l’”ideologia” stessa. Essi sono i figli dell’apparente semplicità, della selvaggia innocenza, della più cinica ignoranza, che li spingerà in una lotta per la sopravvivenza, li collocherà in una catena infinita ove chi è sottomesso tende a sottomettere. I due protagonisti non rispettano i diritti altrui, “criticano” la proprietà privata ma solo per i propri bisogni corporali, tipicamente legati alla loro animalità (homo homini lupus). Ma Totò e Ninetto non comprendono gli insegnamenti del corpo e vengono, a loro volta, oppressi dalla classe dominante, della quale non comprendono usi, costumi, ossia quel linguaggio, dal quale sono solo stupidamente affascinati.
Se ci addentriamo nei meandri degli altri significati dell’opera, troviamo soltanto accennati i temi del controllo delle nascite e della contraccezione (l’antifecondativo...), dell’immigrazione e della sussistenza degli immigrati (la vendita del “callifugo”...), del progresso e della tecnologia (lo sbarco sulla luna...), della crisi della cultura e della letteratura (il congresso dei dentisti-dantisti...), della questione della lingua, alla quale il letterato Pasolini dedica molte opere e dibattiti (uso degli idiomi e dei vari dialetti popolari, contrapposto all’italiano colto), della superstizione (gli ex voto).
Un altro strato di simboli caratterizza il film: il cammino è “eterno”. Il film inizia quando i due protagonisti principali, padre e figlio, già camminano e finisce quando ancora camminano; il viaggio è già finito, perciò lo scopo del cammino, che è l’esistenza, la vita, non trova soddisfazione. Il viaggio è un’alienazione, che permette, ingannando, una fuga perché l’esistenza è talmente tragica da perdere il suo senso. Sulla strada della vita, subito i protagonisti incontrano infatti la morte e fra loro ne parlano senza accettarla. Ma ecco arrivare subito chi può capirla, il corvo, perché, da buon profeta, sa che troverà la morte proprio grazie ai due suoi compagni di viaggio, quel viaggio già finito appena il cammino è iniziato. I vari autobus perduti rappresentano i ritardi, i fallimenti, l’impossibilità di realizzare il viaggio dell’esistenza e quindi di comprenderne il senso. La luna è l’unica speranza, perché lontana e irraggiungibile, anche se in quegli anni la si è raggiunta...: l’uomo si crede di nuovo al centro dell’universo? La luna rappresenta perciò l’alienazione, intesa come fuga dalla realtà, la fuga verso l’assurdo, come già esprimeva un pioniere della storia del cinema qual è G. Méliès (Viaggio sulla luna, 1902) ma ancor prima L. Ariosto (Astolfo sulla luna). Anche la prostituta si chiama Luna: è il rifugio nei piaceri della vita per Totò e Ninetto che, fuggendo la dura realtà, sciupano il danaro sufficiente solo ai propri piccoli piaceri e ai propri piccoli dolori, indebitandosi. Due aeroplani decollano, quando i protagonisti incontrano la luna: simboli fallici, ma anche allegoria di questa fuga facile dal mondo degli oppressi e degli sfruttati. Il cammino ha avuto inizio sull’autostrada in costruzione nella periferia romana... L’invito alla fuga è anche espresso dai surreali cartelli stradali che indicano città simboliche molto distanti... (Istanbul, anzi “Istambul” e Cuba) inoltre i cartelli che indicano le vie del quartiere periferico di Roma ricordano uomini semplici, sconosciuti con nomi simbolici. I guitti interpretano uno spettacolo sull’antica Roma che ha rovinato il mondo.
Troviamo in “Uccellacci e uccellini” diversi omaggi al grande cinema: Totò e Ninetto ricordano nei movimenti e nei dialoghi personaggi chapliniani; si vedono anche elementi felliniani nelle caratteristiche grottesche di alcuni personaggi.
Pasolini ha rivelato espressamente il sottofondo religioso di questo e di altri suoi film con una serie di autocitazioni e rimandi, che si rifanno alle vicende evangeliche. Basti guardare “II Vangelo secondo Matteo” per coglierne alcune: l’angelo Gabriele, nell’Annunciazione, è interpretato in quel film dalla stessa attrice che in “Uccellacci e uccellini” è la ragazza con le ali d’angelo, per la recita religiosa. Inoltre in “Uccellacci e uccellini” troviamo, in filigrana, cenni chiari del percorso evangelico. Il corvo dirà: “Beati voi...” riferendosi ai semplici, riprendendo le Beatitudini (Matteo, 5); la cacciata dei mercanti al tempio è collocata nel film durante la leggenda di s. Francesco, il quale cita “Il Capitale” di Karl Marx: volutamente Pasolini, giocando con i contrasti, accosta i due estremi, come già ha fatto nel film “Il Vangelo secondo Matteo”, ove fa risuonare i canti rivoluzionari russi mentre il Cristo parla alle folle. La gente che è radunata a causa di una morte, in “Uccellacci e uccellini”, dà lo spunto per la riflessione dell’autore sull’esistenza, ma ricorda la folla dei racconti evangelici che chiedeva i miracoli al Cristo che risuscitava i morti. L’incontro con la prostituta è presente anche negli Evangeli, così come l’annuncio profetico della propria morte fatto dal Cristo e dal corvo parlante in “Uccellacci e uccellini”. Se l’ultima cena è anticipazione della Passione e della Morte di Cristo, negli Evangeli, nel film è subita dal corvo che viene mangiato: coincidono con la cena, la passione, la morte in termini religiosi, psicologici e anche antropologici (la ripresa del pasto totemico di S. Freud in “Totem e tabù”...) Anche nei film “Accattone” e “Mamma Roma” troviamo evocato lo stesso percorso evangelico (Angelo - Passione - Ultima cena - Morte). I tre enigmatici protagonisti ricordano le tre persone della Trinità: Padre, Figlio e Spirito santo (quest’ultimo rappresentato da una bianca colomba, normalmente). Ma dopo la morte, secondo l’ateismo marxista è assente la vita e quindi il corvo è, a un tempo, la goffa e tetra immagine dell’angelo decaduto, il cui nero colore è inquietante e contrasta con la sua dolcezza, con la sua fragilità ma soprattutto con la sua arguzia. Il corvo richiama lo scarafaggio di kafkiana memoria; evoca funesti presagi che, dalla sua comparsa, riconducono direttamente il pensiero alla morte: non a caso il corvo si introduce nel discorso quando il padre e il figlio (simbolo della vita che continua nelle generazioni) riflettono sulla morte.
Un’altra serie di riferimenti, sia stilistici sia contenutistici, va ai classici: sicuramente compaiono elementi tipici del teatro dell’assurdo (S. Beckett, “Aspettando Godot”) e anche riferimenti a M. Cervantes (don Chisciotte della Mancia). Ma fondamentale è la ripresa di uno stile caro a Esopo, a Fedro e poi a La Fontaine, che mettevano sulla bocca degli animali, talora proprio a un corvo, le parole suggerite agli uomini dalle menti di questi ultimi, spesso più feroci di quelle degli animali stessi. In questo caso, il corvo è più innocente degli innocenti, anzi è vittima innocente di essi. L’uomo sembra subordinato alla bestia ma, alla fine, solo comportandosi da bestia, domina la bestia; al contrario dell’”uomo umano” incarnato da frate Ciccillo, la cui summa del pensiero è espressa in quel suo idealistico e filantropico “Cantico delle creature”, subito smentito dalla realtà (è Marx che si stacca da Feuerbach). B. Pascal diceva: “l’uomo non è né angelo né bestia; disgrazia vuole che chi vuol fare l’angelo fa la bestia” (Pensieri, 358). Il tema dell’albatro (o del gabbiano), le cui ali troppo grandi imprigionate nella tolda di una nave lo portano alla lenta morte e all’impossibilità di spiccare il volo, è notoriamente attribuito a C. Baudelaire e a S.T. Coleridge: sono riferimenti presenti anche in “Accattone” ma evidentemente sono racchiusi qui nel corvo di “Uccellacci e uccellini”.
Altro livello interpretativo è quello storico-politico: la storia del comunismo russo evocato dai riferimenti, anche musicali, all’Internazionale, a K. Marx, al partito comunista italiano al quale Pasolini aderì, l’omaggio a P. Togliatti, alla Cina di Mao e all’Enciclica “Pacem in terris” di Giovanni XXIII: sono soltanto alcune citazioni e cammei che esprimono, al di là dell’omaggio, l’autocritica pasoliniana, sulla propria figura inadeguata e non compresa di intellettuale di sinistra che si rivolge altrettanto criticamente al suo partito e alla Chiesa.


Dario Coppola

LA RICOTTA

Questa foto è proprietà di Dario Coppola, 

scattata nella chiesa Santa Felicita di Firenze nel 2007

Pasolini nel 1962 partecipa, insieme a Roberto Rossellini, Jean-Luc Godard Ugo Gregoretti alla realizzazione di RoGoPaG, girando l'episodio intitolato La ricotta. Il mediometraggio si concentra sul problema della visione del sacro, costruendo una sorta di parodia della Passione, per cui all'epoca fu giudicato blasfemo. Il Pasolini pensiero è espresso in nuce dal suo alter ego, interpretato nel film da Orson Welles, soprattutto nelle risposte alle quattro domande postegli da un verosimile giornalista. Nell'opera realizzata in bianco e nero, campeggiano tuttavia le rappresentazioni a colori delle due Deposizioni del Cristo di Rosso Fiorentino e Pontormo. Pasolini, rifacendosi al Manierismo, realizza - in questo mediometraggio come nei suoi film coevi - un neorealismo manieristico in cui la realtà si libra nel visionario grazie all'abbondanza, a tutto campo, delle citazioni spesso in contrasto fra loro secondo la teoria degli ossimori, che il regista vuole applicare attraverso: citazioni musicali (l'Aria Sempre libera degg'io dalla Traviata di Giuseppe Verdi, suonata dagli strumenti musicali scordati di una banda, è il motivo principale che contrasta col twist; e con le musiche di BachScarlattiGluck), letterarie (Donna de Paradiso di Jacopone da Todi), filosofiche (Il Capitale di Karl Marx), autocitazioni (Mamma Roma) cinematografiche (Federico Fellini, Orson Welles stesso, le accelerazioni delle immagini alla maniera chapliniana). A seguito di una vera e propria persecuzione da parte della censura, Pasolini fu costretto a modificare alcune parti del film, in particolar modo la didascalia iniziale e la frase finale, pronunciata da Orson Welles, che in originale suonava come «crepare è stato il suo solo modo di fare la rivoluzione».
contributo di Aldo Cairo alla voce Pier Paolo Pasolini (cineasta) tratta da Wikipedia

La Ricotta è un episodio contenuto in Ro.Go.Pa.G. (Rossellini, Godard, Pasolini, Gregoretti), un vero capolavoro in 40'. Esprime il Pasolini pensiero, ripercorrendo la storia della Passione di Gesù Cristo, attualizzandola e ripresentandola, incarnata, nella persona di un "povero Cristo" (il sottoproletario Stracci). E' un apologo in forma tragicomica, che pone le basi per un'ispirazione di una trama che narra della lotta di classe, in modo originale e artistico (ritenuto quasi blasfemo all'epoca, il film fu sottoposto a censura dopo aver subito processi e processi, e P.P.P. fu accusato di vilipendio alla religione...). L'arte e la realtà (si parla di neorealismo manieristico per definire lo stile pasoliniano) s'intrecciano qui in una lotta aspra e crudele che denuncia, con lo stile del poeta, la sopraffazione dei poveri da parte della borghesia ignorante, soprattutto quella italiana... definita da Pasolini (il cui pensiero è espresso nel film dal grande Orson Welles) la borghesia "più ignorante d'Europa".

Dario Coppola

Segnalazione del Presidente di Comitato

Apericena 
PASOLINIANA
Proiezione 
COMIZI D'AMORE












Martedì 07.12.10







ore 19.00 

















Officine Corsare


Apericena Pasoliniana 

ore 19,00
Centro Studi Corsaro 
presenta
A. Graziano 
D. Acampora 
L. Valenza 
J. Ricca  
“Eredità e attualità 
degli Scritti Corsari” 

 GenerAzioni presenta
“Sessualità: istruzioni per l'uso”
 Proiezione dei 
“Comizi d'amore” 
di Pasolini 

Segnalazione del Presidente di Comitato

venerdì 17 dicembre 2010 ore 17.10 
nei locali della
Società Operaia di Mutuo Soccorso “Edmondo De Amicis”
in corso Casale 134 
a Torino
presentazione del libro di 
Emilio Gianni 
LA PARABOLA ROMAGNOLA 
DEL "PARTITO INTERMEDIO"
dedicato al centenario di 
Andrea Costa 
e alla storia del movimento operaio italiano prima della formazione del Partito Socialista 
Edizioni Pantarei 
l’iniziativa fa parte del ciclo di incontri del 
Centro di Documentazione Antonio Labriola
sull’unificazione italiana 
vista dal lato del lavoro e dei suoi uomini
  
Interverranno gli storici 
Marco Novarino e Marco Scavino
dell’Università di Torino